Ettore Bonessio di Terzet: Il mistero del freddo e la ballerina di Genova


Licini, Volare 1956



Il mistero del freddo


Nell'ultimo anno isolati dai segnali
col freddo che scivola gli scarponi
sul lago tra i primi boccioli verdi.

Hanno contato le foglie del ginepro
secondo il leggendario proteggere
le case dalle strazianti malattie.

Nessuna parola dentro la paura
si muovono lenti sopra le fosse
attendendo i cavalieri di Dürer.


Soffia il vento feroce sui valloni
scavati in antico, un vento da estovest
che scava la faccia alla scultura
distrutto il calice e la fiaccola.
Passano e cantano barcollanti di sera
per raggiungere un posto sicuro
che troveranno nella pancia di una
balena inghiottita dal capitano.

Il passo sconosciuto distrugge le ore
che rimangono alla grande lotta
incontro fatale nell'ultima valle.








ai Vigili del Fuoco


E' morto un pompiere.
Non so dove
in quale parte del mondo.
Non aveva fatto commercio nè
contratto con l'eterno, non aveva
 contraccambiato la sua morte con alloro,
 mai la sua vita con doni, aveva accettato
quello per cui fuoco e acqua combattevano.
Aveva visto nel fuoco la distruzione che doveva
contrastare con la pompa da dove usciva l'acqua
 santificata dalle sue mani ferme e fredde, che non
 temevano se non la caduta della forza che veniva
dal casco rosso e oro, lucido come aureola barocca.
Aveva sempre vissuto tra la gioia e lo sconforto
 quando il fuoco mangiava ignobilmente innocenti
e quando la sua opera pareva inutile. 
Non si sentiva eroe nè diverso, non sentiva colpe
e fantasmi, non condannava nessuno, non odiava
neppure il nemico, ma con le sue mani rosse
 alzava i calici in famiglia e con gli amici di quel liquido
 rosso che lui non paragonò mai al fuoco.
Sarà poi morto un pompiere? E le mappe
 solo un disegno bislacco di cartografi desiderosi di
trovare novità anche nelle aride arocce di Atlantide?


*







Stupite per la diffidenza mostrata
festose andando sicure, escono
dalla carne contorta mangiata
dai vermi.
Siamo come voi con la paura di 
mani che schiacciano, di pinze
scientifiche che ci trasformano
per sempre.



*




da Hopkins, con lui, e poi ...


Padre Hopkins, tu che sapevi e sai
tu che hai scritto per i morti per acqua
 aiutami a parlare attorno e di fronte all'isola
piccola e felice tra l'oscurità della notte e
le luci della festa, isola del simbolo di chi
Tu riconoscevi, a cui raccomandavi le persone
 in pericolo da ogni dissennatezza
errore o macchinazione, soprattutto paura
legandole ad un discorso molto più alto di quanti
sentiamo, voci non di coro ma riti stanchi
di uomini slegati dall'Eterno,
 superstiti di Chardin e di Nietzsche.
Parole consumate sull'abisso di
 una retorica falsificatrice che anche te,
 padre, colpì perchè criticavi quello che già
criticava il Maestro tuo
contro tribunali e curie di ben pettinati crini,
di stiratissime camicie, di non logori abiti e
mani curate lenti dorate che predicano l'opposto,
 mentre gente si animalizza sempre di più,
lasciata senza parola piena,
ripiena di possibilità di scegliere la propria vita
verso un obiettivo di amicizia e di contraccambio,
di onore e gloria autentica, non fine a se stessa,
 onore e gloria riportate qui sulla terra, regno degli uomini indiati,
di uomini che non potranno avanzare
 per la povertà di una o poche persone che pensano alla loro sbornia o
 civetteria, al nostro personalismo e narcisismo che
portano alla morte per annegamento,
 alla dispersione che non cancelleranno i sogni
 cristallizzati ogni sera in mostri e fantasmi.
Non posso seguirti, Padre, nella consonanza di
una poesia dotta, in una lingua e  in un  tempo diversi,
e data la differenza di intelligenza tra noi
 accetta con i silenziosi soccorritori dell'umanità il mentre dico.
So che la poesia oggi non è accettata
come i superiori Tuoi,  non calatasi nella nostra gente
 che la vede distante e non ad essa destinata ma
 per pochi distratti della realtà, gente che non pensa alla pensione,
alla percentuale del profitto, al miglioramento del pil.
Poeti, non comuni mortali che tentano solo di essere
pari al gene proprio, di avvicinarsi alla destinazione
 ultima dell'umanità ovvero di ritornare al
punto omega che è anche alfa,
porto di arrivo e di partenza dove il capitano
saluta la nave in allegria dopo aver preparato tutto
 per il ritorno, senza nessuna idea di naufragio
perchè confidante nell'amico in plancia
che non tradirà mai, la sua prerogativa di traghettarore
di anime verso lo splendore di
un porto non sepolto ma pavesato a festa.
Se questo non dovesse vedere,
 il pianto non sepellirà gli scomparsi
ma rigenererà i disperati e i vili e coloro che sono
nel terrore e nel disorientamento, allungando una mano che
affettuosamente li porterà al ricovero da se stessi.
Padre Hopkins, tutti coloro che hanno aiutato
 entrino nella tua poesia, nel Tuo continuo pensiero
legato a quello eternamente generativo del Padre,
 e ti chiedo di avere comprensione e
pietà per quelli che agognano di capire.


*


ai cantanti adagio


ruggiti e pianti e sgangherate urla in
melodie e inni maledetti, in modulazioni
ferite come lo scorrere del tempo o
il suo indietreggiare all'inizio.
Si taglia la gola al canto d'amare
senza amicizia, dentro tutto
si schianta.
Povero cantare solo che singulta
al niente trovato nel recitare amore  
lasciando nuda la spossata anima
al bisogno di carezze attraverso
i capelli ancora sudati per la fuga


*

La ballerina di Genova


Ballerina che balli sull'invisibile filo
non guardare in basso e solo al
roteare attenta per essere di nuovo
perfezione possibile del movimento.
Quando scendi nel duro terreno altra
sei rimanendo ballerina, senza distrarti
per le stupidità che senti, ma nella mente
sempre lassù, ripensando alle figure
che vuoi migliorare, che volerai sul filo
tranquilla sicura assicurata al cielo da fili
che solo tu senti e nessuno potrà mai
tagliare  se non il tuo gene che accettasti
quella poesia generosa che intelligenze vedono.



*
Quando
saremo all'omega
saremo all'alfa
originati in altro.


*



epitaffio provvisorio



Sono poeta. Pensai e amai
senza perdermi tra cari amici,
don Bruno Paolo Mariuccia
Romolo e don Raffaè. Gradirei che
l'Eterno avesse letto i miei poemi
perché mi fido del suo giudizio.



*