L'indiana d' Ainea e le sei bisacce ♦

Il Giardino dell’Arancia di Mia Nonna dello Zen
Il gaudio del mio oggetto “a”  e l’indiana d'Ainea 
La terra trasfonde vibrazioni continue
dentro la galassia e questo sei tu.
E se la gente scopre che sai suonare il violino,
ecco, sei costretto a suonare il violino, per tutta la vita.
 Se scopre che sai  fare il poeta, che cosa pensi
che ti facciano fare su questo  pianeta intero,
il vento o ti mandano al mercato a vendere manzi
e porci oppure ti mandano a ballare al Crazy Horse,
invece che farti stare sulla tua terra
a coltivare le nostre sei bisacce,
farne tutto un campo di trifoglio maturo
cosicché quando il vento tira giù le arance
è questo che mi disse Mia Nonna dello Zen
non si spaccano perché soffice l’erba le accoglie?
Gli astronomi parlarono a un certo punto di un pianeta
che poteva essere una canzone o forse una poesia,
non certo perché il cantante possa cantare poesie
o poemi infiniti, intanto che è nella confraternita
del diritto d’autore che vien giù dalle tremila radio
che c’erano sì e no durante la guerra 
e adesso infiniti apparecchi suonano
e io sento i violini quando vanno
alcuni singer a cantarcela alla BBC Two
con un misto di fagotti, corni e ottavini,
come posso allora coltivare le nostre sei bisacce
con le cornacchie e i pettirossi che volano
nella mia mente e ti ricordi quando andavamo
nel Giardino dell’Arancia di Mia Nonna dello Zen  
che subito uno storpio si girava a guardarci
ed era sordo e muto e mi faceva segno
se poi andando per i nostri campi infiniti
che musica stavamo a suonare,
e allora  ho pensato una volta che se un uomo,
fosse anche un poeta che mai pubblicherà
da Einaudi o da Mondadori o da Guanda
per via dei motivi politici della besa
che attengono all’articolo 22 della Costituzione
della Repubblica che ha fatto il diritto d’autore
per chi canta e strimpella la chitarra
durante la guerra quando la repubblica
era un regno anche dell’Albania della besa
e già arrivavano, finito il tempo della macchia,
coi loro asini e sarmenti a farsi padroni
delle nostre sei bisacce, questo ho pensato:
quell’uomo viaggiando veloce come la luce
ci mette  sei milioni di anni luce per arrivare
su Quelm e lì, come testimonia Woody Allen,
la temperatura è di 1300 gradi, i  bagni sono vietati
e gli alberghi, anche il Miramare che era pieno di spazzatura
come le cabine sul terrazzo della torre a sei piani
che fece l’ombrone che ci tenne prigionieri
per via della besa, e lì la gravità è inesistente
un po’ come qui dove è risaputo che per organizzare
un concerto in piazza ci volle per lustri molta accortezza,
invece che a mettere il palco verso il mare ad est
che l’occhio dello spettatore guardava in discesa
e quindi uno dietro l’altro tutti vedevano l’impiegato di stato
che cantava e prendeva il diritto d’autore
mettevano il palco sul punto più alto della piazza
e sì che il cantante di stato lo si vedeva ancora più in cielo
ma era ad ovest e su Quelm non c’è ossigeno sufficiente
e noi non cantavamo più, e il cantante era raro che avesse
un secondo lavoro, fosse anche Vecchioni,
ti ricordi quella volta quando,
tornando dal Giardino dell’Arancia dove
fin tanto che c’eravamo a darci il gaudio
non c’era la pressione cosmica che,
appunto, tornando, quel giorno c’era l’ombrone
sul palco che non suonava la chitarra
e dissero alcuni di questi benestanti
che quell’ ombrone parlava bene
e sapeva a mala pena profferire il suo nome
nella sequenza cognome e nome,
e ah , che cognome ha questo, mai sentito a quel tempo,
è della famosa razza, dicemmo,
e allora aumentarono le tariffe postali,
l’intera razza degli ombroni occupò
le nostre sei bisacce che non potei più coltivare,
e non andammo più nel Giardino di Mia Nonna
e girandomi non vidi più lo storpio che a gesti
mi chiedeva se poi “una volta là è il gaudio
che raccogliete nel Giardino dell’Arancia
di Mia Nonna dello Zen?”.
Non ho ereditato da mio padre le sei bisacce
né tu dal tuo e poi non contenti, ti ricordi?,
volevamo possedere anche il territorio da dove
scendevano gli ombroni e più in su anche quello
che si fecero fare un documentario per fingersi
dimenticati e intanto calavano a frotte al mare
e prendevano di notte e di giorno tutto ciò che
avevamo nelle sei bisacce, e mi sono dannato con ascia
e aratro, falce e forbice, e prendemmo quanti ciucci 
ci sarebbero voluti per farsi venire lo "spinno da trotto
come alle famose cento ombrone e li mettemmo
nel Giardino dell’Arancia e lavorando duro, trangugiando
caffè di cicoria anche quando non stavo più a Milano e non fumavo
sigari Red Eagle, buttammo giù la prigione di mio nonno
che lo stato ci aveva dato e facemmo venire quelle del Crazy Horse
e guardandole ballare una sera, che incanto, mi venne
il male di mio nonno, la satiriasi, e non smettevo più
di menarmelo e andavo nel Giardino e là ricordando
il gaudio che fu e mangiando nespole e mele che
non se le mangiavano nemmeno i porci , questo disse
quello che avevano messo a farmi da padre, da cui niente
ho ereditato e tu niente hai ereditato dal tuo e dalla tua
schiatta, che, poi, se vai a vedere, un po’ ombroni saremmo
anche noi e fu per questo che prendemmo tutto il loro
territorio, manca per manca, timpa e timpone, 
masserie e valli, tacche e manconi, e edificammo
torri a sei piani e sulle torri dove stavano camerieri e
uomini dello stato e mercenari della scuola e mercanti e venditori
all’ingrosso  che seguivano le orme e l’insegnamento del
 L’elongazione dell’Ascendente 
in connessione 
con MartePlutone

e i punti arabi “f” e “Heimlich” 
di Marisa G. Aino  sull’Ebertin a 90° 





più grande grossista di granone per le  galline e fagioli che fu fatto giudice di pace e riscuoteva le tasse poi quando chiuse il magazzino affiliandosi con usurai della besa e usurpatori del nome e del gaudio, e dov’ero se non nel Giardino che fu
a ricordare le ragazze del Crazy Horse e mia moglie, che cosa vedevo, arance, un campo di trifoglio maturo, nespole, ulivi, fichi d’India, c’era vento là sotto la cibbia? e mi son messo a combattere la Battaglia dei Gesuiti e suonavo il violino e il gaudio 
si sentiva il fruscìo della seta delle ballerine del bragallo ch’era l’incanto e la meraviglia del passaggio al meridiano del mio oggetto “a”, che, a conti fatti, e per fatturato e disseminazione, eri sempre tu, l’altra indiana, quella del bagliore ainico,
che  Didone sai dove se la metteva?!

da: La mia storia naturale quando ero un indiano dei Pa-Rrotë© 2011