Clavicordi e lettori di provincia

Cesare Picco
Siamo mica qui a pettinare i clavicordi
28 luglio 2011
Molti di noi, contrari a Facebook, una volta raggiunti da un vecchio compagno di scuola usano la frase “ma se non lo sento da venticinque anni ci sarà un motivo, no?”.
La storia degli strumenti a tastiera ci insegna che l’arrivo del fortepiano e poi del pianoforte moderno – così come lo conosciamo – ha imposto una rivoluzione che si è imposta velocemente. In brevissimo tempo un’intera generazione di musicisti ha abbandonato di gran lena la vecchia strada per la nuova. Per le rivoluzioni, i vecchi proverbi non valgono.
Bach aveva in casa un clavicordo. Lo prediligeva sia per gusto personale sia per didattica. E’ uno strumento difficilissimo da padroneggiare, a mio parere il più difficile strumento a tastiera. Suo figlio, Carl Philipp Emanuel portò all’estremo le sue potenzialità. E’ uno strumento dal suono molto esile, sparisce se gli metti di fianco un solo violino. Tecnicamente arduo, ti sbagli di grosso se pensi di fare gli accordi che hai in mente. Le note non ti escono subito come vuoi, ci vuole tempo. Quel tempo che oggi non siamo più abituati a permetterci. Di bello c’è che puoi ricercare la bellezza del suono. Ecco il clavicordo è senz’altro la bellezza delle sfumature del suono. Sembra tutto uguale ma non lo è.
Bach ha fatto a tempo a vedere i primi fortepiani di un costruttore da lui stimato, Gottfried Silbermann. Anzi, in prima analisi Bach criticò il nuovo strumento, poi diede qualche consiglio al Silbermann e, guarda caso, sembra che lo strumento sia migliorato parecchio. Comunque Bach continuò negli ultimi mesi della sua vita a preferire il clavicordo: vecchio amorevole crucco dalla testa dura. No, penso che Bach non avrebbe usato Facebook.
Da lì a pochissimo, molti altri musicisti concorrono alla crescita tecnica del fortepiano. Come nella preparazione di un bolide di Formula Uno, meccanici ed esecutori migliorano di giro in giro. Mozart, Beethoven, Chopin, Schumann e via dicendo non aspettano altro per dare libero sfogo al loro talento. Il risultato è che in pochi anni, clavicembalo e clavicordo vengono sollevati di peso e portati in soffitta. Senza nemmeno una copertuccia antipolvere.
Oggi, grandi strumentisti come seri festival, formano il circuito di musica barocca che, ahimè, troppo spesso è vissuta dagli stessi adepti come una sorta di circolo chiuso con derive fondamentaliste. In poche parole, “questa musica si suona così e basta”. Va da sé che clavicembalo e clavicordo non riescono a incontrare l’attenzione di un pubblico più vasto e trasversale. Questo discorso, traslato, vale per tutto: cinematografia, fotografia (i sostenitori della pellicola o del digitale), letteratura e via dicendo.
Due parole in breve sui gradi di parentela tra gli strumenti a tastiera. Il clavicembalo è un mondo a sé: non c’entra assolutamente nulla con le altre tastiere. Il clavicordo, invece, è in qualche modo il nonno del pianoforte. Dal clavicordo è arrivato il fortepiano e quindi, a ruota, il moderno pianoforte. Il segno distintivo di clavicordo, fortepiano e pianoforte è che tu puoi dosare l’intensità del tocco, cioè usi la dinamica di piano e di forte per generare l’espressività voluta (nel clavicembalo non c’è dinamica di tocco: tutte le note escono alla stessa intensità). La possibilità della dinamica unita all’invenzione di pedali che allungano la durata del suono, hanno dato vita a quel viaggio che ha portato il pianoforte sino ai giorni nostri. E domani sarà ancora là, su un palco, al centro del mondo. Così bello da vedere da solo, elegante, il nero che snellisce: lucido per la gran sera, oppure opaco che è veramente raro da trovare, ma così cool.
Ora, ho deciso di tornare in soffitta, riprendere quei vecchi strumenti abbandonati tra bambole e cassettoni tarlati e capire se mi fanno l’effetto di un vecchio compagno di scuola su Facebook. Con il clavicembalo già mi sono divertito portandolo al Blue Note e a giocare inseguendo gli specchi della musica in un mio vecchio post. Del clavicordo sapevo poco, diffidavo della sua meccanica impervia. Ma se sono rimasti in tre a suonare il clavicordo, ci sarà un motivo, no?
Chi tra voi non ha idea di come sia fatto o che suono abbia il clavicordo, basta faccia un giro in rete.
Keith Jarrett, nel lontano 1986, diede alle stampe un doppio album di
improvvisazioni al clavicordo. Lui ne usò per la precisione due contemporaneamente, posizionati ad angolo retto. No, Jarrett non usa Facebook…
E in nome di Bach mi ritroverò a suonare pianoforte, clavicordo e clavicembalo a Rimini cercando di posizionare bene gli specchi e di navigare tra gli “spiriti” che il sommo ci ha lasciato. Perché anche quando non ci pensiamo o non ce ne rendiamo conto, non esiste musica che non porti in sé un fiore sbocciato nel suo giardino.
E poi dopo tutti a ballare in disco. Siamo mica qui a pettinare i clavicordi.

v.s. gaudio
Il CLAVICORDO, IL POLICORDO, IL LETTORE DELLA PROVINCIA MALATESTIANA…Di tutte le meraviglie della natura, pensavo, fino a qualche attimo fa, che niente è notevole quanto la raganella che, lo sanno tutti, è un idiofono a percussione indiretta per sfregamento; perché è una meraviglia? Ma semplicemente perché , essendo un idiofono, il suono è prodotto dalla vibrazione del corpo stesso, che, lo ammetto, io, il significante “corpo”, lo vedo, e o ascolto, sempre con la condensazione paradigmatica che c’è nel significante “carne” del filosofo Merleau-Ponty.
Adesso, salta fuori il clavicordo e ho pensato: dio, come sono insignificante! Sol perché l’associavo al cembalo(tutta la produzione cembalistica di Bach è destinata ai clavicordi sciolti), avendo un vicino di casa che aveva un cognome in assonanza, non potevo che dargli del monocordo, ancorché pur dandogli del “policordo”, essendoci, in quel paese dove mi tennero ad abitare negli anni Settanta, una “rivistina” di cose letterarie con tale nome ed avendoci pubblicato forse il primo saggio scritto sulla poesia di Giovanni Raboni, in ragione del fatto, ma guarda un po’ che ti fa l’analemma esponenziale!, che, avendomi chiesto il direttore de “Il lettore di Provincia” di chiarire in nota un riferimento in tedesco, urtato dal principio del monocordo, detti il testo al “Policordo”.
Voi dite: è finita? Ma no, “Il lettore di provincia” lo faceva Renato Turci, che lavorava all’epoca alla Biblioteca Malatestiana di Cesena, che, guarda un po’ il caso, Picco dove lo va a suonare il clavicordo il 3 agosto? A Rimini, alla Sagra Musicale Malatestiana! Dove, non è finita, è stata all’inizio della tournée in Italia la nostra Joan as Police Woman…
Ma perché un clavicordo è tanto più incantevole della spinetta, anche se devo dire che il clavicembalo a becco di penna non sfigurerebbe poi tanto? Non lo so. Una corda tira l’altra, fu la virtuosa polacca Wanda Landowska a reintrodurre nella prassi musicale nei primi anni del Novecento il clavicembalo; Joan as Police Woman ci ha salutati per andare in Polonia e io, che non posso permettermi né un clavicembalo né un clavicordo m a che ho scritto un saggio su Giovanni Raboni per darlo al “Policordo”, che cosa le ho detto? In attesa di assaporare il semivalore dell’erotismo polacco, avrei dormito due giorni di fila ma dopo aver ascoltato dieci,cento, mille volte la sua “Forever and a year”:♫
http://www.ilpost.it/joanaspolicewoman/2011/07/28/carpi/comment-page-1/#comment-132
Ieri. Oggi: dormirò fino al 3 agosto e dopo cercherò dappertutto una performance al clavicordo di Cesare Picco, per ascoltarla una, dieci, cento, mille volte! Perché se è vero che “Solo Dio può creare un albero”, come disse il poeta, chi mai potrebbe suonare il clavicordo se non Cesare? Anche perché a suonare qualsiasi idiofono gli viene da ridere.
OT
Bel testo, maestro anche di scrittura; apprezzato il passo del circolo chiuso del clavicordo e della letteratura.




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