• Divagazione ziffiana sulla poesia di Tonino Guerra

v.s.gaudio
Quand che parlèva e’ parlèva ad scatt:
è vèrra? O l’è tótt buséi?
Divagazione ziffiana sulla poesia
di Tonino Guerra

·
Tullio De Mauro: “Ziff, palesemente, non ha letto Gramsci” E’ vero?
V.S.Gaudio: “Guerra, probabilmente, non ha letto Ziff”. E’ vero?
Tonino Guerra: “Gaudio, evidentemente, non legge “Il Resto del Carlino”. E’ vèrra?

     1.  Al ródi mi carétt
a’l s’è farmè,
a’l pépi ad tèra còta
a’l s’è brusé le saira
a fè la vègia tra i paier;
i méur i è vécc
al crépi al vén d’in zò
com’è di fólmin.
E’ ciód dla méridièna
l’è caschè.[i]

Così diceva Tonino Guerra. E’ vero?
Voglio raccontarvi un’altra storia, che ve la vorrebbe ancora raccontare Paul Ziff, è quella del monaco che domandò a Fuketsu:
“Senza parlare, senza silenzio, come puoi esprimere la verità?”
Fuketsu, ricordate?, osservò:
“Ricordo la primavera nella Cina del sud. Gli uccelli cantano tra molti fiori”.
Il commento del maestro Zen Mumon su questo koan è illuminante:
“Fuketsu aveva spesso delle illuminazioni Zen. Ogni volta che ne aveva la possibilità, le esprimeva. Ma questa volta non riuscì a farlo e si limitò a citare un’antica poesia cinese. Non preoccupatevi dello Zen di Fuketsu se volete esprimere la verità, fate a meno delle vostre parole, fate a meno del vostro silenzio e parlate del vostro Zen”[ii].

      2.  E a proposito di Zen e di silenzio questa ve la racconto io:
I pullë oncantënë cchiù
A sera ascìse asùp’umùnnë.
Jè vacãnt’a vìrtulë i’cùpàssëdë.[iii]
Così diceva V.S.Gaudio; o la nonna di V.S.Gaudio? Gli uccelli non cantano più, la sera è discesa sul mondo, la bisaccia del viandante è vuota. E’ un haiku di mia nonna.
E’ un’affermazione vera?
“Fare un’affermazione è compiere un certo atto del parlare. Così, noi pronunciamo una certa espressione nel modo appropriato e nelle circostanze adatte. Recitare una poesia e fare un’affermazione non sono la stessa cosa”.
E’ vera l’affermazione:” I pullë oncantënë cchiù , a sera ascìse asùp’umùnnë. Jè vacãnt’a vìrtulë i’cùpàssëdë ”?
E’ vera l’affermazione: “Al ródi mi carétt a’l s’è farmè, a’l pépi ad tèra còta a’l s’è brusé le saira”?
 Guerra diceva : “Al ródi mi carétt a’l s’è farmè”…, ma non faceva un’affermazione: scriveva una poesia. O l’ha trascritta Roberto Roversi.
“Andé a di acsé mi bu ch’i vaga  véa” può essere un ordine. Ora, io non vi ho dato un ordine: non ho l’autorità per farlo; vi ho dato l’esempio di un ordine.
L’ordine “ Andé a di acsé mi bu ch’i vaga  véa” sarebbe un ordine sciocco: ma non ne segue che io abbia fatto qui qualcosa di sciocco.
“Dare l’esempio di un ordine e scrivere una poesia non sono cose molto simili; tuttavia, hanno questo in comune: dare l’esempio di un ordine non è dare un ordine, e scrivere una poesia non è fare un’affermazione”. Anche perché rimane il dubbio su chi l’ordine l’abbia dato per davvero, chi lo ha detto o chi lo ha trascritto?

3. Ci fa preoccupare di più la difficile parola affermazione? O è la parola poesia che ci preoccupa? Se io dico: “E’ ciód dla méridièna l’è caschè”, faccio un’affermazione? O scrivo una poesia? O se dico che ne ho abbastanza delle stravaganze dei poeti dialettali, che uno dice e l’altro trascrive, faccio un’affermazione? E’ Roversi che fa l’affermazione?
Roversi trascrive che “Al ródi mi carétt a’l s’è farmè…”: è vero quello che trascrive? Le parole  “Al ródi mi carétt a’l s’è farmè, a’l pépi ad tèra còta a’l s’è brusé le saira a fè la vègia tra i paier”     si trovano nella poesia “La féin de’ mond” di Tonino Guerra: ciò non significa che Tonino Guerra abbia detto che al ródi mi carétt a’l s’è farmè.
Io dico che non è vero che non vale la pena leggere Baldini, e ora è vero che ho detto che non vale la pena leggere Baldini, ma non è vero che abbia detto non vale la pena leggere Baldini: ho detto invece il contrario.
Ma chi l’ha scritto?

La copertina dell'edizione Maggioli del 1993
di i bu

     4. Che cosa dice Guerra?
Andé a di acsé mi bu ch’i vaga  véa
che quèl chi à fat i à fatt,
che adèss u s’èra préima se tratour.[iv]
Dice davvero Guerra che i buoi se ne vanno a testa bassa dietro la corda lunga del macello dopo una fatica che hanno fatto per mille anni? E’ lui che lo dice? E’ importante sapere chi stia parlando? O importa solo se qualcuno nella poesia abbia detto o no che i buoi dopo mille anni di fatica se ne vanno a testa bassa dietro la corda lunga del macello: e ci dobbiamo commuovere?
E l’ordine di andare a dire ai buoi che l’è finita chi lo dà? “Il senso di ciò che si dice dipende da chi lo dice e in quali circostanze e perché; questa è generalmente la norma; perché quindi non dovrebbe valere in poesia?”[v]

      5.  Perché Tonino Guerra dice che 
      “E’pianz e’ cór ma tótt, ènca mu mè,
avdai ch’i à lavurè dal mièri d’ann
e adèss i à d’andè véa a tèsta basa
dri ma la córda lònga de’ mazèll[vi] ?
E perché lo dice in dialetto?
Ci sono dei buoi che hanno lavorato mille anni e che adesso basta è finita, c’è il trattore si fa prima. E’ giusto allora che i buoi se ne vanno a testa bassa dietro la corda lunga del macello?
C’è una domanda: Perché dovrei  andarglielo a dire?
C’è n’è un’altra, di domanda: Perché dovrei  commuovermi pure a pensare alla fatica che hanno fatto per mille anni?
Si ipotizza dunque che bisogna dire ai buoi che è finita. Ed è in risposta e in opposizione a questa ipotesi che si dice che “E’pianz e’ cór ma tótt, ènca mu mè avdai ch’i à lavurè dal mièri d’ann…”.
Se dico semplicemente “Ditelo ai buoi che è finita” può darsi che io stia parlando del fatto che ora abbiamo il trattore e abbiamo chiuso con i buoi. Insomma, è finita, non vi è nessun altro significato implicito. Ma se mi si esorta a commuovermi, allora la cosa è diversa: in questo caso, infatti, è implicito che al tempo che risparmio corrisponde la temporalità che mi viene sottratta, la corda lunga del macello, lunga mille anni.

     6. Si tratta di un gioco di parole? Senza dubbio è difficile forzare le parole di Tonino Guerra per sostenere che nella féin de’ mond si dica proprio questo o quello. Anche perché tra realismo e fantastico, quel popò di populismo crepuscolare tipicamente romagnolo, come dice Mengaldo, che s’aggira nella cantica in versi di Guerra, come uno dei tanti “strati” che si aggirano nella pianura tra Sant’Arcangelo e Rimini, illumina in modo fantastico quel Dasein che sembrava che, contestualmente, avesse smarrito il senso. Nonostante ciò, prima o poi si esaurisce l’analisi e si può definire che cosa vi sia detto, per poi domandare: è vero? E’ vero che cosa?
E grazie all’azzeramento espressivo e affettivo de I Bu, possiamo semplificare le cose supponendo che tutto I Bu consista soltanto dei 10 versi de “La féin de’ mond” e dei 7 versi di “Sivio e’ matt”: Tonino Guerra avrebbe anche potuto scrivere, considerando anche la poesia “I bu”, un componimento di questi soli 24 versi. E il nostra problema è “verità e poesia dialettale”, non questo o quel componimento pienamente poetico. Possiamo dunque supporre che Guerra abbia scritto solo i 17(o 24) versi citati: essi costituiscono l’intera opera in versi. Dovrebbe allora risultare meno difficile vedere che cosa vi è detto.

      7. Guerra  si comporta sempre, tuttavia, in modo ambiguo. Non solo perché da un lato “si pone in strettissima relazione col territorio romagnolo e con la sua popolazione rivisitati soprattutto nei loro tratti ancestrali di civiltà contadina” e dall’altro la matrice realistica ha idilli crepuscolari e fantastici.
Una sorta di forma soggettiva , come la intende Whitehead, la cui carica edenica connessa al Dasein, ha uno spirito quasi gaudioso che fa implodere la materia lessicale e l’anima, l’essenza meditativa, dello Zen.
Dov’è dunque la risposta? O meglio: qual è la risposta?
Dirlo ai buoi, mandarglielo a dire da Sivio e’ matt che quand che parlèva e’ parlèva ad scatt, tott un brandèll, col se brètt cun la visira arvólta indrì[vii]?
Le ruote dei carri si sono fermate, alla sera le pipe di cotto si sono spente durante la veglia nei pagliai; i muri sono vecchi, le crepe scendono, come fulmini. Il chiodo della meridiana è cascato.
Ma chi dice “Il chiodo della meridiana è cascato”? Tonino Guerra? Sivio e’ matt? Roberto Roversi? La nonna di V.S. Gaudio , quella dello Zen o quella di Sant’Arcangelo? Che aveva spesso delle illuminazioni Zen, come il maestro Mumon di cui narra Ziff, e ogni volta che ne aveva la possibilità, le esprimeva. E quella volta che rise e disse al Guardiano dell’Acqua: “Chi usa macchine è macchina nelle sue azioni: chi è macchina nei suoi atti acquista cuore di macchina. E chi ha cuore di macchina ha perduto la semplicità. Chi ha perduto la semplicità ha acquisito l’inquietudine. Nello spirito inquieto non ha dimora il Tao. Non è che io non conosca il vostro congegno; mi vergognerei di farne uso”[viii].
Si dice che mia nonna per questo scrisse questa poesia, memore del Tanka 55(quello di Dainagon  Kintō, della Centuria Poetica):
Purë-ca u l’aqquãrë damò
cajè-cchjùsë e senzag’acquë,
sent’u rumòrë du laccuarìll
e u rumòrë chjùggrùs da cascàtë.
U nomë suj vadaffinìsc ‘ndà vignë mij,
allaghedë u campë, dàcqquëdë l’anima mij.[ix]
E’ vero quello che dice la nonna di V.S.Gaudio?

      8. Leggo un haiku a un bambino e dico:
L’aria l’è roba lizira
cla sta datonda la tu testa
e la dvénta piò cèra quand che t’roid.[x]
Il bambino mi chiede: “Davvero l’aria gira intorno alla mia  testa?” e io dico: “Sì”. Oppure: “No, è soltanto un haiku”.
Se io dico a una donna:
Cu Lijìsë sittàta asùpa u banc
A varca du marìtë ormeggëdë avvàrv’igàtt
On’volëdë na musk asùp’a’banchìna[xi].
E lei mi dice: “Non gli faceva senso la barba di gatto?”, allora è stupida.
Oppure, può darsi che lo stupido sia io e che lei sia equilibrata come la barca. Esistono vari modi di guardare le cose, e uno è quello di chiedere: “E’ vero?”mentre si guarda, anche Lijìsë sittàta asùpa u banc.
Se guardo una barca e mi chiedo: “E’ vero che la donna seduta sia Luisa?” guardo la barca in un dato modo. Supponiamo che io prendo la barca per andare a pesca, cioè gettare e tirare le reti, e poi mi chieda: “E’ vero il pontile dove ormeggerò a barba di gatto?”, che devo rispondere?

      9. Confrontiamo:
                          Mariuccia,
prim tettin de la mia vita,
malius surris tra i lìster di linghér,
                        tì d’ében,
ögg de fuìn, tusetta ‘ntiga,
ch’aj sfrang di verd recàmm la tener essa
là, sot un taul, com’i gatt brasciâ,
tra i scarp di mamm e vegg che sigulava,
là, cum’un fiur azerb che me basàss[xii]

con:

Sivio e’ matt

Quand che parlèva,
e’ parlèva ad scatt,
tott un brandèll
da in chèva fina i pi,
se brètt cun la visira arvólta indri,
che l’era avstéid de chéursa
Sivio e’ matt.

Qui, al di fuori del loro contesto, come si leggono?
“Intendo forse dire se li leggiamo con sentimento, a voce alta o sottovoce? No, non è questo; il punto è: cosa fate quando li leggete? Guardo la pagina stampata: leggo da sinistra a destra. Ecco che cosa faccio. Ma non è tutto quello che io, o chiunque altro, facciamo quando leggiamo qualcosa. Chiunque, infatti, può per lo meno rivolgere l’attenzione a quanto sta leggendo o no, può farlo in modi diversi, o può rivolgersi a cose diverse”[xiii].
Leggendo i versi di Franco Loi,
vedete che il poeta sta facendo una novella in versi, una romanza che è una romanza-metafora che, con almeno tre funzioni di Isenberg, specchia la situazione iniziale che è sempre la sua biografia; così, pur non avendo come riferimento la macrostruttura narrativa di Isenberg, combina il paradigma con l’attante, che è sempre l’io di chi narra, rammenta: l’epica della memoria tra il grottesco e il visionario dell’affettività ispida e difficile del suo Dasein.
Leggendo i versi di Guerra,
vedete che c’è una correlazione tra la struttura della poesia e quella del racconto; la macrostruttura narrativa contiene sempre almeno tre delle cinque funzioni di Isenberg e la funzione discorsiva ha una concatenazione monotematica che smeriglia la ridondanza semantica; e vedete, infine,  che la circolarità semica è speculare all’interazione tra l’io che narra e l’altro di cui si narra[xiv].
La domanda di Ziff “Come si legge una poesia?”non ha, è vero, una sola risposta. Non c’è un solo modo di leggere una poesia. Figuriamoci se si tratta di una poesia dialettale. Che parla almeno tre linguaggi. Chiunque legga una poesia in dialetto romagnolo di Sant’Arcangelo come se fosse una poesia in lingua nazionale è tanto sciocco quanto chi tracanna Sangiovese di Romagna e sorseggia Sprite.
Guerra( è asciutto, piacevolmente salato, talvolta un po’ tannico; il suo verso azzerato e assoluto, amarognolo, dall’ampiezza secca) non è Franco Loi, che fa la romanza-metafora che si fa specchio della situazione iniziale che è sempre la sua biografia, ma non scoprirete neppure quello che merita di essere scoperto se leggerete I Bu  come se fosse “Il Resto del Carlino”.

      10.  E’ inutile dire che normalmente non ci si domanda “E’ vero?” quando si legge una poesia, mentre lo si domanda quando si legge un articolo di giornale.
Ma quando si legge una poesia di Tonino Guerra ci si può domandare “E’ vero?”, come ce lo si domanda leggendo un articolo sul “C’akå’r”, che per antonomasia è “Il Resto del Carlino”: l o lèt int al c’akare’n, l’ho letto sul giornale.
Se stessimo leggendo su “Il Resto del Carlino” “La féin de’ mond” e vi si dicesse: “Al rodi mi carétt a’l s’è farmè, al pépi ad tèra cota al s’è brusè la saira a fè la vègia tra i paier(…)”, non resterei sbalordito alla domanda: “E’ vero?”.
Ma se stiamo leggendo Guerra e una persona adulta, indicando il verso “E’ ciód dla méridiena l’è caschè”, chiede “E’ vero?”, allora penso che quella persona sia stupida.
O non ci crede?
Insomma, non è sufficiente dire che non si può rispondere alla domanda, perché questa serve soltanto a farla sembrare una domanda difficile, anche perché non è una domanda: è una trappola della poesia dialettale.
Ed è tale sia che la si ponga a proposito dei versi di Guerra, sia che la si ponga a proposito dello Zen di mia Nonna, sia che la si ponga a proposito della poesia connessa Dasein di Franco Loi, viepiù, a proposito della poesia diacronica di Ruffato, in cui, mancando la macrostruttura narrativa, non c’è ballata moderna o cantica che venga a riferirvi di Sivio il matto, della fine dei buoi, una nonna che fa lo Zen e se ne fotte della Macchina dell’Acqua, e quindi, priva del silenzio assoluto dell’azzeramento stilistico, quale verità può esprimere, se non fa a meno delle parole anche se sta parlando dello Zen della sua ascendenza?

     11.  Dico a qualcuno: “Se devi leggere la poesia dialettale, il solo modo intelligente di leggerla è quello di leggerla con occhio critico”. Che è anche il solo modo di leggere i giornali. Voglio quindi che, mentre legge Tonino Guerra, egli si chieda con una certa frequenza “E’ vero?” E’ uno dei modi di leggere “Il Resto del Carlino”, “L’Unità”, “il Manifesto”. Non credo però che abbia molto senso nella lettura della poesia. Esistono modi diversi per leggere componimenti poetici diversi, ma nessuno di questi implica che ci si domandi “E’ vero?”. Per lo meno, non credo che un componimento poetico comporti mai una domanda del genere. Tuttavia, non posso provarlo: esistono troppi modi diversi di fare e quindi di leggere la poesia”.
Ma se un lettore romagnolo di Tonino Guerra stesse leggendo sulle pagine locali del Resto del Carlino:
“Al rodi mi carétt a’l s’è farmè, a’l pepi ad tèra còta a’l s’è brusè la saira a fè la vegia tra i paier; i méur i è vecc al crépi al vén d’in zò com’è di folmin: e’ ciod dla méridiena l’è caschè” potrebbe ipotizzare che è la féin de’ mond?
La poesia dialettale connessa al Dasein del poeta non ha procedimenti metaforici, come non ne avrebbero le pagine locali del Resto del Carlino se scritte in dialetto, non va, l’una, e non andrebbero le altre, dal termine di partenza per arrivare a quello di arrivo con la proprietà comune che permette la metafora: a) attuando una traduzione più o meno letterale; b) ridefinendo l’oggetto di partenza. Diciamo che usa, il poeta, e userebbe il giornale in dialetto, il “linguaggio di crescita”, per cui ha un uso corrente, contestuale e situazionale del linguaggio che rende più vera, o verosimile, la referenza al Dasein.
L’aria l’è cla roba lizira
cla sta datonda la tu testa
e la dvénta piò cèra quand che t’roid.
Che dice? E’ poetico? E’ iperreale? O è correale?
Tonino Guerra a Casa Moretti a Cesenatico

      12. Al ródi mi carétt
a’l s’è farmè,
a’l pépi ad tèra còta
a’l s’è brusé le saira
a fè la vègia tra i paier;
i méur i è vécc
al crépi al vén d’in zò
com’è di fólmin.
E’ ciód dla méridièna
l’è caschè.
Così diceva Tonino Guerra. E’ vero?
Nella filosofia il verum, dice Ziff. E aggiunge: “ma in vino veritas: nella poesia , come nel vino, c’è della verità e in modo molto simile”. Dico a qualcuno:
“C’è della verità nella poesia  “La féin de’ mond” di Guerra”; costui, metti che sia Cucchi o uno di quei custodi di antologie dell’industria culturale che è come l’altro di Watzlawick che compie il suo gesto  nell’ambito della logica formale, che postula che ogni affermazione può essere vera o falsa, e che non esiste una terza soluzione(tertium non datur), allora esamina attentamente i versi alla ricerca di una affermazione vera. E se gli dicessi “In vino veritas” vuoterebbe una bottiglia di Sangiovese di Romagna aspettando che ne stilli la verità.
Il poeta è invece quell’enfant terrible, quel classico bugiardo che disse “Io mento” anche in perfetto santarcangiolese. Se davvero mentiva, allora diceva la verità, e quindi mentiva quando diceva “Io mento”. Cosa ne pensate voi, oggi, nel secolo dopo, dell’affermazione “Il custode dell’Antologia ha l’aria che gli gira intorno alla testa e diventa più chiara quando ride”: è vera o falsa?
Se dite “E’ vero” a proposito dei componimenti poetici di Tonino Guerra, il soggetto di “E’ vero” è simile al soggetto nell’espressione “L’aria l’è cla roba lizira”. Che cosa è vero,  infatti? “Il componimento poetico è vero”: sarebbe un’affermazione strana se riferita a La féin de’ mond e “Questo è vero” sarebbe un’affermazione strana se riferita a un verso qualunque, anche di Loi o di Baldini, preso isolatamente e fuori dal suo contesto.
Non si deve dire pertanto “E’ vero”, ma “C’è (della)verità in essa”.
Ma, poi, è vero, non è vero,è vèrra, u’n’è vèrra,  a m’so insugnè, csèll ch’e’ vó déi? Non vuol dire niente, un vó dì gnént? L’è mèi stè zétt?


[i] La féin de’ mond, in: Tonino Guerra, I Bu, 1972: La fine del mondo. Le ruote dei carri/si sono fermate,/alla sera le pipe di cotto/si sono spente/durante la veglia nei pagliai;/i muri sono vecchi/le crepe scendono/come fulmini./Il chiodo della meridiana/è cascato. (Trascrizione di Roberto Roversi).
[ii] Paul Ziff, “Verità e Poesia”, in: Idem, Itinerari filosofici e linguistici [Philosophical Turnings.Essays in Conceptual Appreciation, 1966], introduzione di Tullio De Mauro, trad.it. Laterza, Bari 1969: pag.79.
[iii] “Gli uccelli non cantano più/la sera è scesa sul mondo/è vuota la bisaccia del viandante”:V.S.Gaudio, Uzzèn ‘inonnamijë, © 1999.
[iv] “Ditelo ai miei buoi che l’è finita/che il loro lavoro non ci serve più,/che oggi si fa prima col trattore.”: I bu(I buoi).
[v] Paul Ziff, op.cit.:pag.81.
[vi] “E poi commuoviamoci pure a pensare/alla fatica che hanno fatto per mille anni/mentre eccoli lì che se ne vanno a testa bassa/dietro la corda lunga del macello”: è la seconda parte de I Bu.
[vii] “Silvio il matto che quando parlava, parlava di scatto, tutto un brandello, da capo a piedi, e il berretto con la visiera voltata indietro”: da Sivio e’ matt.
[viii] V.S.Gaudio, Lo Zen di Mia Nonna, © 1999.
[ix] “Sebbene da tempo il canale di irrigazione/sia chiuso e asciutto, odo il rumore/del ruscelletto e quello ben più fragoroso/della cascata./Il suo nome sfocia nel mio giardino/inonda il campo/irriga la mia anima”:V.S.Gaudio,Uzzèn i’nonnamijë, cit.
[x] L’aria. L’aria è quella roba leggera/che ti gira intorno alla testa/e diventa più chiara quando ridi.(trascrizione di Roberto Roversi).
[xi] “Con Luisa seduta sopra la panca, la barca del marito ormeggia a barba di gatto. Non vola una mosca sulla banchina”: V.S.Gaudio, Uzzèn i’nonnamijë, cit.
[xii] “Mariuccia,/prime tettine della mia vita,/malioso sorriso tra le liste di ferro delle ringhiere,/tu, di ebano,/occhi di faina, bambina antica,/che alle frange sfilacciate dai verdi ricami la tenerezza”: da III.Mariuccia: in Franco Loi, Stròlegh, 1975.
[xiii] Paul Ziff, op.cit.:pag.83.
[xiv] Come abbiamo avuto modo di spiegare per la poesia dialettale diacronica[vedi : V.S. Gaudio, La poesia dialettale connessa al dasein, in: Idem,La semantica gergale e razionale dell’idioletto corporeo e della poesia dialettale diacronica, “Quaderni di  Hebenon” n.1, Ivrea 1999]la verifica degli  Indicatori Globali [ Intelligibilità; Complessità; Ambiguità; Pregnanza; Carica Connotativa; Codice Ristretto/Elaborato] e dell’I Ching in questa poesia dialettale connessa al Dasein indica che l’esagramma risultante è il numero 18.Ku, l’emendamento delle cose guaste, in cui, sopra, c’è il trigramma Kenn, il Monte, e, sotto, il trigramma Sunn, il Vento.
Iconicità alta: 9 sopra
¾
Complessità media: 8 al 5° posto
- -
Ambiguità alta : 6 al 4°posto
- -
Pregnanza: 9 al 3°posto
¾
Carica connotativa: 9 al 2°posto
¾
Codice ristretto: 6 all’inizio
- -
 L’immagine: giù sotto il monte soffia il vento. La sentenza: propizio è attraversare la grande acqua. L’esagramma che più di altri  trova nei segni intrinseci Cenn [ il Tuono: - -; - -; ¾ ] e Tui [ il Lago: - -; ¾; ¾ ] il nucleo essenziale dello stile di Guerra: difatti, l’esagramma-Heimlich è 54.KUI ME, “la ragazza che va sposa”, è la fine e l’inizio dell’umanità, il mondo frattale di cui non si dà equazione né sommatoria in nessun luogo, anche se tutto è riconducibile a Sant’Arcangelo, lì, in quel luogo, visto nel dettaglio, colto di sorpresa, il mondo rende conto del suo stato in nostra assenza. Da questo altrove, dal suo proprio luogo, dal cuore della sua banalità, dal cuore della sua oggettività, l’altro fa irruzione da tutte le parti, con la delicatezza patafisica del suo senso che non vuole riflettersi, vuole essere colto direttamente, illuminato nel dettaglio, è l’oggetto stupefatto che capta l’obiettivo del poeta, il bagliore didonico della ragazza che va sposa , questo bagliore di impotenza e di stupefazione che manca completamente alla mondanità della lingua, della poesia nazionale. Questa rivelazione fotografica fa procedere tutto: ad ogni linea dell’esagramma c’è il fotografico , che esiste solo in ciò che è violentato e sorpreso, rivelato suo malgrado, in ciò che non avrebbe mai dovuto essere rappresentato perché non ha immagine né coscienza di se stesso: all’inizio, se è uno sciancato, può procedere; al secondo posto, se è un orbo, può vedere; al terzo posto, la ragazza va in sposa come schiava e non si trova ancora nella posizione che le compete; al quarto posto, procrastina il tempo; al quinto posto, la complessità rende evidente che le vesti della figlia del sovrano non erano così sfarzose come le vesti della servente; al sesto posto, la moglie tiene la cesta e dentro non v’è nessun frutto. Questo è KUI ME, il 54, l’esagramma intrinseco dello stile 18.KU di Guerra: è qui il suo bagliore didonico che svela, fulminandolo, l’infinita immobilità stupefatta del senso. 
·[© v.s.gaudio 2006]·